The Comeback Kid
Fa strano rimettersi a scrivere su queste pagine.
"Not content to watch the world pass me by,
I'm going to grabthe mic and say what's on mymind.
Life's too short not to say what we feel.
I express myself on what I feel is real"
Era bizzarro qualche anno fa, lo è ancora di più adesso che la comunicazione ha preso strade diverse. Ma ritorno sul luogo del delitto, come ogni killer che si rispetti.
Mi rimetto di fronte alla pagina bianca e cerco di raccontare cosa sta succedendo nella mia vita per fissare qualche punto. Per mettere in ordine nel flusso di persone, parole, posti e situazioni che hanno affollato questi ultimi mesi.
Ho preso una decisione. Assurda, se volete. Lo accetto. Proprio quando avrei potuto tirare dritto e cercare una qualsiasi routine, ho ancora una volta messo dietro tutto ed iniziato un nuovo viaggio.
Per farla breve, ho lasciato il mio lavoro (o lui ha lasciato me, in queste relazioni non si sa mai come vanno realmente le cose) ed ho fatto del coaching la mia professione. Con l'incoraggiamento di tanti, l'aiuto di altrettanti ed una grossa mano da chi mi sta vicino, mi sono buttato. E nonostante mi svegli di notte con l'ansia di riuscire a pagare le bollette, sono felice. Anche se nella fretta di far funzionare le cose, non mi sono ancora realmente goduto quello che è successo.
Perché allenare? Chissà... credo che sia qualcosa che comunque hai dentro. Una sorta di tarlo: e se non hai quel qualcosa che ti muove, forse non sarai mai un certo tipo di coach come non sarai mai un certo tipo di insegnante. Sono stato fortunato: ho avuto grandi insegnanti. E anche se non ci credevo più, sono arrivato alla cattedra a quarant'anni, a fare del coaching una professione a quarantatre. Ma ci sono arrivato, e per certi versi è quello che conta per me.
Non so bene cosa mi aspetta, gli ultimi mesi sono stati molto, troppo intensi. Ma quello che le persone mi hanno dato finora, vale più di molte cose che credevo di avere ottenuto nel mio lavoro di una volta. Ci sono telefonate, mail, messaggi ricevuti in questi mesi che non credo potrò dimenticare facilmente. Come non dimenticherò il dolore quasi fisico di altri messaggi che raccontavano di un DNF, un infortunio o una settimana andata male. Lo so che dovrei tenere una distanza e non farmi coinvolgere da quello che faccio: ma non ci riesco, non sono capace, e non ho più voglia di ridurre la mia vita lavorativa ad una serie di dati, schemi, tabelle e fatturati.
Voglio capire, trovare una strada, cambiare se necessario, crescere con i miei ragazzi e ragazze, non raggiungere una meta a tutti i costi. Sono stufo dei target di fine mese e di dover sempre alimentare una macchina impazzita: questa volta la macchina, la guido io.
Ed è per questo che la DESTINAZIONE era e resta SCONOSCIUTA. E mi sta bene così.
Per chi vuole vedere cosa stiamo combinando: Destination Unknown Endurance Coaching & Camps. E trovate il tempo di lasciare un feedback. Qualsiasi. Anche insulti, minacce o cori da stadio. Come diceva una band di qualche anno fa:
I'm going to grabthe mic and say what's on mymind.
Life's too short not to say what we feel.
I express myself on what I feel is real"
Speakout. And be proud.
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